Ostacolo. Qualcosa che si oppone totalmente alle nostre azioni o intenzioni. Una barriera a primo sguardo insormontabile. Eppure basterebbe un salto. Voi dite che è facile?
Oggi sono qui, a scrivere di qualcosa che non avrei mai pensato di tirar fuori in questo momento storico della mia vita. Partiamo dal mio pseudonimo: Asiaticamente. Non ci vuole un genio per fiutarne il gioco di parole, no? Mi sto specializzando in studi asiatici, più precisamente in lingue e culture del Giappone e della Cina.
La Cina.
Ho sempre voluto scrivere della mia passione per questi due “colossi” asiatici, e mai come in questo 2020 mi si era presentata concretamente l’occasione davanti. Nell’aprile 2019 ho timidamente fatto domanda, tramite il mio ateneo, per ottenere una borsa di studio in un’università cinese. Con grande sorpresa, dopo circa un mese, il mio nome è apparso nella lista di quella che definisco la graduatoria dei sogni. Dopo una laurea, e tanti anni di studio, avrei potuto mettere in pratica e migliorare la mia abilità nel cinese mandarino.
L’esperienza all’estero è quanto di più agognato da uno studente di lingue straniere, oltre che dagli appassionati del mondo. Ma l’Asia, quella che nella mia adolescenza sembrava una realtà lontana, era sempre più vicina, pronta a sbucare dal cassetto di una ragazzina sognatrice e capricciosa.
Avrei studiato un semestre a Tianjin, città molto importante collocata nell’area settentrionale della Cina (come dico sempre, non molto distante da Pechino).
Avrei studiato è totalmente sbagliato come tempo verbale. Studierò, questo è giusto.
Come ben sapete, le notizie dell’ultimo mese hanno riportato una spiacevole vicenda: un nuovo ceppo di coronavirus (2019-nCoV) ha dato il via ad un’epidemia (polmonite di Wuhan) che ha finito per mettere in subbuglio l’intero pianeta. Il mio intento non è quello di documentare, ma quello di sollevare una riflessione collettiva. Scrivere un articolo del genere non è per niente facile per me, e sicuramente tra i motivi vi è la mancata partenza. Io e i ragazzi con cui sarei partita, abbiamo monitorato e valutato la situazione del virus cinese sin dai primi contagiati, a dicembre. E vi dirò, avevamo indubbiamente paura. Eppure eravamo praticamente pronti a lanciarci in questa avventura. Sì, nonostante il coronavirus. Non è incoscienza, è amore, voglia di toccare con mano un paese che abbiamo abbracciato per il nostro futuro.
Tianjin è alquanto distante dalla provincia cinese dello Hubei (dove si trova Wuhan), e il rischio di contrarre il coronavirus era quasi impossibile. All’inizio, il nostro sogno, non sembrava stare svanendo. Ogni mattina, piuttosto che dalla luce del sole, venivamo accecati dalle cifre decrescenti di un countdown che suggellava l’avvicinamento a quel volo aereo per Pechino.
Il coronavirus, per quanto mortale in alcuni casi, non ci sembrava essere così pericoloso.
“Ogni anno tantissime persone muoiono per le complicanze scaturite da una banale influenza.”
Ci siamo ripetuti questa frase a vicenda con gli occhi lucidi. Nonostante l’eccessivo allarmismo da parte di molti paesi del mondo, la situazione si è inevitabilmente aggravata, e abbiamo cominciato a convivere con l’idea di non poter trascorrere la prima metà del 2020 nella nostra tanto desiderata Repubblica Popolare Cinese. Siamo stati tutelati dal nostro ateneo, e la stessa università cinese ha ritenuto opportuno rimandare il nostro arrivo, in attesa di una situazione migliore per far sì che fosse garantita agli studenti internazionali una totale sicurezza. Mi sono sentita protetta, amata dal paese che avrei voluto al più presto vivere.
Molte e-mail, messaggi, telefonate ricevute, cominciano con una frase doverosa quanto dolorosa: “A causa del nuovo coronavirus…”
Causa. La ragione della mia non-partenza, l’ostacolo.
Nel mese di gennaio ho ricevuto messaggi vocali, chiamate che mi hanno letteralmente distrutta. “Non partire, che ti becchi il virus. Ma è così necessario? Non puoi rimandare? Puoi cambiare paese? I più fantasiosi hanno poi aggiunto: “Mi sa che qualcuno ti ha messo gli occhi addosso.”, “non era destino”. È qui che mi è arrivata l’illuminazione. È qui che ho avvertito l’estremo bisogno di portare le persone alla riflessione. È vero, non sono più partita. Sì, ne sono molto dispiaciuta. La Cina rappresentava per me una sorta di via di fuga dalla vita quotidiana, un momento tutto mio, di crescita individuale, un vero modo per spiccare il volo e migliorare in tutto come persona. Mi sarei aspettata di tornare diversa, con tante storie da raccontare, tante nozioni apprese. La Cina mi avrebbe arricchita. Ma vi dirò, non sono poi così dispiaciuta della mia esperienza mancata.
Io sono sana. Io sono salva.
Ciò che mi distrugge vedere è la sofferenza del popolo cinese. Sto male, mi struggo letteralmente per i cinesi. Leggo la paura, la rabbia dei miei amici mandarini, che non si capacitano del razzismo subito, della risposta al virus non solo del pianeta intero, ma della stessa Cina. Incolpano il loro sistema, piangono. Sono segregati nelle loro case, anche se lontani da Wuhan. Temono per il loro futuro, sono impossibilitati nel lavoro, che potrebbe rappresentare addirittura la valvola di sfogo di quella che è diventata una prigione infetta e mortale. Entrano nei supermercati e vengono scannerizzati da termometri all’avanguardia, si guardano da lontano e hanno timore a salutarsi.
E tutta questa psicosi e questa esagerazione da parte dei media internazionali, non fanno che aggravare il sentimento di un popolo che prima di tutto è composto da persone con capacità di agire, di pensare, di provare delle sensazioni; esseri umani con l’ovvia paura di morire.
Quindi, se vi capita di incontrarmi per strada o mi scrivete per sapere di me, non aiutate con un “chissà cos’hai fatto di male” o “sono le preghiere dei tuoi cari”. Interrogatevi. Cercate di ponderare le parole, perché le persone stanno morendo, e un paese, la Cina, sta inciampando. Il coronavirus non è l’ostacolo al mio sogno. Agli ostacoli, non voglio assolutamente credere. Sebbene sia difficile, si può provare a saltare, si possono aggirare. Il coronavirus non mi impedirà assolutamente di vivere questa esperienza, che è solo rimandata. Io non ho paura, affatto. Il coronavirus non è un vincolo per noi studenti internazionali.