Ted Bundy, responsabile di circa trenta omicidi di giovani donne tra il 1973 e il 1978. Si presume possa averne commessi molti di più.
Se ci limitiamo ai dati questo è ciò che esce, il classico serial killer visto in centinaia di film. Questo però non è un film, questo è stato un caso reale di cronaca e la serie documentario di Netflix prova a mostrarci qualcosa di più, prova a farci capire che non si parla e non si deve parlare di serial killer citando solo i dati. I dati non fanno male a nessuno, non fanno riflettere nessuno. Sono immagini e descrizioni che aiutano a capire e riflettere. Esattamente come per i grandi genocidi o le guerre.
Guardate bene le foto qui sopra, questi sorrisi, questi volti stampati su carta fotografica sono ciò che rimane di povere ragazze innocenti vittime di un assassino tra i più efferati della storia del crimine.
Ed eccolo, il suo di sorriso. Una costante nel documentario. Una costante che disturba, che dimostra quanto un uomo qualunque possa essere artefice di tanto dolore.
Sì, perché è chiaro che Bundy non era un genio del crimine, non era altro che un uomo comune, come tanti altri.
Questa serie è frutto di un lavoro di ricostruzione che vuole spingere alla conoscenza non per ammirarlo ma, al contrario, per esserne colpiti in maniera negativa tirando forti pugni allo stomaco ogni volta che sentiamo la sua voce o vediamo il suo sorriso.
Ma c’è dell’altro.
Non soltanto lui, il suo modo di pensare e la sua vita vengono scandagliati. Viene analizzata la giustizia, viene descritta l’esecuzione, viene mostrata la stampa, la mancanza di tecnologia e soprattutto l’opinione pubblica, quella che oggi ma anche ieri muoveva il mondo.
Il documentario non possiede una voce narrante che inviti alle risposte i testimoni. La voce narrante è quella dei telegiornali dell’epoca e viene collegata soltanto alle risposte dei testimoni senza che si sentano domande. Una scelta che ci spinge ancora più all’interno della vicenda: non c’è nessuna interferenza esterna, chi parla ha vissuto quei momenti in un modo o nell’altro. Il montaggio mantiene l’attenzione sempre ad altissimi livelli e più di quattro ore di documentario volavo via lisce lasciando poche domande, forse soltanto una, una domanda rivolta alla nostra coscienza personale.
Lorenzo
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