Ciao a tutti!
Dopo una lunghissima assenza, sono finalmente tornata con un nuovo articolo (uno vero e proprio, questa volta).
Probabilmente dal titolo avete già capito di cosa voglio parlare: Stranger Things, serie tv firmata Netflix sbarcata sulla piattaforma a giugno 2016. Ideata da Matt e Ross Duffer, ha subito coinvolto una fetta di pubblico trasversale, diventando uno degli show più amati degli ultimi anni. La serie è composta da tre stagioni per un totale di 25 episodi, di circa 50 minuti l’uno. L’ultima è uscita proprio il mese scorso, dopo ben due anni di attesa.
Uno dei motivi per cui ho sempre cercato di evitarla è che tutti dicevano che fa paura: è un po’ horror, un po’ dark, fa un po’ senso. In effetti, in parte è vero ma … non proprio. Non ha lo stampo da film horror creato apposta per spaventare lo spettatore, è più un thriller fantascientifico. La prima stagione è probabilmente la più inquietante, ma non tanto per l’aspetto del Demogorgone o del Sottosopra, quanto più per l’ansia che trasuda ogni episodio. È un crescendo di interrogativi, di scoperte, la sensazione di pericolo imminente è via via più forte. Ti fa rimanere con il fiato sospeso perché tu sai cose che alcuni personaggi non sanno ancora e non vedi l’ora che parlino tra di loro e che le scoprano. Insomma, ho passato gran parte degli episodi a urlare davanti allo schermo “Perché non parlate tra di voi, dannazione!”.
Cosa mi ha spinto quindi a decidere di vedere ora questa serie tv? Due fattori principali: una bambina di 13 anni e un lavoro in un albergo di suore. Sì, avete capito bene: suore.
Partiamo dall’inizio.
Ho sempre fatto amicizia facilmente con i miei insegnati e in terzo liceo ho legato moltissimo con la vicepreside della mia scuola. Professoressa di Italiano, amante dei libri e del cinema: mi sembrava un sogno aver trovato una persona come lei in un ambiente così matematico e tecnologico come può essere quello di un liceo scientifico indirizzo scienze applicate. Insomma, come dicono gli inglesi, long story short ho fatto amicizia con lei e di conseguenza anche con sua figlia.
Io e la bambina, che chiameremo M, abbiamo parlato a lungo e, dopo aver dato una sbirciatina alla mia playlist tutta tema anni ’70-’80 ha esclamato con un gridolino di gioia “Come Stranger Things!”. Spinta dal parere positivo della madre e dall’entusiasmo di M, ho cominciato a guardare con loro il primo episodio. Alla fine del 48° minuto ero seduta sul divano con gli occhi spalancati: cosa mi ero persa per tutto quel tempo! Come ho fatto a vivere anni senza vedere un capolavoro del genere?
Poco dopo aver iniziato la serie con M ho ricevuto una chiamata: “Ci serve aiuto!” ha esclamato una suora dall’altra parte del telefono e così sono partita alla volta di un albergo dall’altra parte d’Italia. L’anno scorso ho lavorato lì e, quest’anno, sono tornata per dare una mano.
Chiusa nella torre più alta del castello (e non è una metafora, questo albergo è davvero un castello e io vivo davvero come Raperonzolo), impossibilitata a uscire perché “una ragazza non può andare in giro da sola”, sono stata costretta a rifugiarmi nell’unica cosa che non mi ha mai deluso fin ora: Netflix.
Ogni momento libero era buono per vedere qualcosa in più e oggi, dopo due settimane, ho finito tutte e tre le stagioni. Cosa ne penso? Un capolavoro.
Ma veniamo a noi e diamo corpo a quest’articolo che fin ora ho riempito solo di storie strane.
(ATTENZIONE! Potrebbero esserci Spoiler, leggete a vostro rischio e pericolo)
La trama
Siamo a Hawkins, una piccola e tranquilla cittadina dell’Indiana, il posto perfetto in cui far crescere i propri figli. O almeno così pare. È il 1983 e Dungeons and Dragons è ancora una cosa nuova, compaiono i film che entreranno nella storia, le persone hanno strani capelli, le signore fanno ginnastica vestite in modo discutibile, tutti adorano le giacche di pelle e l’America è tinteggiata di colori accesi che spesso danno fastidio agli occhi. Tutto sembra tranquillo finché il dodicenne Will Byers non scompare misteriosamente, dopo essere stato inseguito da un mostro. Nello stesso momento, una bambina con poteri speciali è scappata da un inquietante laboratorio a pochi passi da Hawkins. Si chiama Eleven (Undici) e per tutta la vita è stata usata come cavia da laboratorio. Assieme ai tre amici del ragazzo scomparso, Mike (con cui stringerà un profondo rapporto), Dustin e Lucas scoprirà i valori dell’amicizia, l’amore, il mondo e tante parole nuove.
Sulla scena abbiamo anche una madre divorata dalla preoccupazione ma più in gamba di quanto tutti pensino, uno sceriffo che non crede di avere finalmente per le mani un vero caso, uno scienziato psicopatico senza pietà, una ragazza perfettina molto brava con le armi da fuoco, un mostro inquietante e un ragazzo che ama fare fotografie.
O, per lo meno, questa è la trama della prima stagione.
Cosa mi è piaciuto
Ci sono molti spunti da cui partire e su ognuno ci sarebbe da dire molto. Innanzitutto, i numerosissimi riferimenti alla cultura pop e nerd degli anni ‘80 che ancora oggi hanno una grande influenza, la musica, le citazioni. Per non parlare dei palesi riferimenti ai film fantascientifici (ad esempio Alien) o ai romanzi di Stephen King! D&D, Ritorno al Futuro, Wonder Woman … insomma un cocktail perfetto.
Partiamo però con calma. Per ora, ho sviluppato 5 punti su cui mi piacerebbe che si concentrasse la vostra attenzione.
Gli adulti sono dei veri e propri adulti
Una costante delle serie tv americane rivolte a un pubblico principalmente adolescente è quella che tutti i genitori sono delle figure spesso senza spessore, con poca intelligenza, che non capiscono nulla e che non fanno altro che complicare la vita dei loro figli. Tali figli, sempre adolescenti senza alcuna esperienza del mondo, vivono una vita difficile, hanno una grande intelligenza, spirito di osservazione e capiscono sempre tutto loro.
Ho visto parecchie serie tv di questo stampo (partendo da Pretty Little Liars, che ho abbandonato poco dopo la prima stagione), ma negli ultimi tempi sto trovando prodotti che stanno cercando di invertire questa tendenza. Ci sta provando Riverdale anche se, a mio parere, senza successo; ci sta riuscendo Sabrina con le zie della protagonista; per arrivare in fine alla madre di Otis in Sex Education. Ora, anche se la serie è precedente a tutte queste che ho nominato (sono io che la sto vedendo troppo tardi), abbiamo raggiunto l’apice con Stranger Things.
Joyce Byers, la madre di Will, interpretata da una splendida Winona Ryder, è determinata, risoluta, intelligente, si fida di sé stessa, è capace di vedere oltre il proprio naso. Più di una volta mi ha sorpresa per il suo coraggio: quando viene attaccata per la prima volta dal Demogorgone non scappa ma va anzi nel magazzino a recuperare un’ascia per far fronte alla minaccia. È grazie a lei se Will è stato salvato la prima volta, è grazie a lei se il Mind Flyer ha smesso di possedere suo figlio. Joyce è una madre che farebbe di tutto per i suoi figli, una donna che non si fa mettere i piedi in testa da nessuno (e questo si vede benissimo nella terza stagione). Vuole solo il meglio per la sua famiglia, che ha già sofferto tanto per colpa del suo ex marito (che abbiamo conosciuto poco ma che non appare certamente come un personaggio positivo). Con la sua energia riesce a far cedere perfino il testardo (e all’inizio della serie direi un po’ pigro) sceriffo della città, Jim Hopper.
Winona Ryder è in grado di interpretare magistralmente questo personaggio. L’ho sempre amata, sia per la sua straordinaria bellezza, sia perché ogni volta che penso a lei mi viene in mente Edward mani di forbice. Inoltre, le foto di lei e Johnny Depp da giovani che si tengono per mano, sono tra le mie preferite.
Mio fratello la chiama “faccia di budino” per via della sua straordinaria espressività. Proprio come i budini che non stanno mai fermi, non c’è un secondo in cui il suo volto è uguale all’altro!
Parliamo anche di Jim Hopper interpretato da David Harbour. Lui è lo sceriffo di Hawkins con un passato triste: il Destino ha deciso di portargli via la sua unica figlia, Sara, quando era ancora piccola a causa di un cancro. Al contrario della moglie, che vediamo solo attraverso alcuni flashback e sentiamo una volta a telefono, non è riuscito ad andare avanti con la sua vita e a rifarsi una famiglia. Non mangia sano, è scorbutico, ha problemi con il controllo della rabbia ed è annoiato per il lavoro inutile che ha: non accade mai nulla in quella cittadina, tutto è sempre uguale. Finché le cose non iniziano a cambiare grazie, o per colpa di, scienziati pazzi del governo americano che, cercando di sfruttare i poteri di una bambina trattata come cavia da laboratorio, hanno accidentalmente aperto un portale tra due mondi, diversi ma profondamente connessi. Hopper ha un cambio d’atteggiamento netto non appena vede che il caso è serio. È proprio qui che vediamo la sua forza: è risoluto, si sa far rispettare, è un bravo detective, ma, soprattutto, è buono. La sua sensibilità la vediamo emergere a piccole dosi nel corso della serie, arrivando al suo apice con la lettera strappalacrime al termine della terza stagione.
Karen Wheeler, la madre di Nancy e Mike, interpretata da Cara Buono, è un personaggio lasciato in disparte e poco apprezzato. Anche lei è una persona con diverse sfaccettature. Anche se all’inizio sembra la solita madre della tv americana, è qualcuno con saldi principi su cui i figli possono fare affidamento. È sempre pronta ad aiutarli, proprio come un vero genitore dà consigli al momento giusto nel modo giusto. Inoltre, mi ha sorpresa molto che non si sia presentata all’appuntamento con Billy. È chiaro che il suo matrimonio non è tra i più felici e che tra lei e il marito non ci sia un grande amore, eppure, nonostante il ragazzo più fico di tutta Hawkins si sia interessato proprio a lei, decide di mettere prima il bene della sua famiglia. Spero davvero che nella prossima stagione le venga dato più spazio.
I riferimenti alla cultura degli anni 80
Una cosa che mi è piaciuta tantissimo è il fatto che nel corso della serie si sentano canzoni tipiche di quegli anni. The Clash, Bon Jovi, The Bangles, The Police, Duran Duran, Cyndi Lauper … per una come me che ha sempre guardato con invidia quegli anni, è stata davvero una gioia. Specialmente perché ascolto queste canzoni da tutta la vita!
La ricostruzione storica, anche nelle piccole cose, è magnifica: vediamo i vestiti tipici, i prodotti che oggi stanno tornando di moda perché ritenuti vintage, i colori accesi. La sala dei videogiochi è una parte importante all’inizio della seconda stagione che permette ai quattro bambini protagonisti di stringere amicizia con Max, una ragazza che si è appena trasferita dalla California.
Sebbene con poche inquadrature, abbiamo potuto notare le sgargianti (e orride aggiungerei) uniformi da ginnastica delle donne degli anni ’80. Si tratta una ginnastica molto popolare in quegli anni, il primo esempio di quella che oggi chiamiamo Zumba!
Facciamo riferimento inoltre alle pettinature tipicamente americane: i capelli talmente cotonati e pieni di lacca da rimanere perfettamente immobili in qualsiasi occasione, come se fossero un casco! Per non parlare dei costumi da bagno delle signore.
E ci sarebbe molto altro da aggiungere!
Il realismo
Al contrario di quasi tutti i prodotti televisivi o cinematografici, dove la bellezza degli attori è una parte fondamentale per la produzione, in Stranger Things non è così importante. Anzi, se proprio vogliamo essere sinceri, alcune caratteristiche negative dei bambini protagonisti (principalmente nella prima stagione) vengono accentuate. I denti mancanti di Dustin, il naso di Mike reso più lungo dal viso scavato e dai capelli. Perfino lo Sceriffo Hopper è un uomo trasandato. Non si fa nulla per rendere più belli o più accattivanti gli attori. Sono perfettamente normali.
Questo a mio parere è un grosso punto a favore per la serie, perché permette di concentrare l’attenzione su altro (come ad esempio il carattere, l’intelligenza e l’intuito dei personaggi) e di rendere tutto più vicino a noi. Non apprezziamo Dustin (Gaten Matarazzo) per il suo aspetto da “gran fico” ma per il suo essere divertente, astuto e sempre pronto a sacrificarsi per i propri amici.
Ho apprezzato inoltre l’umanità e lo spessore di tutti i personaggi: non sono degli stereotipi viventi con dei caratteri cuciti addosso, trovano forza nelle loro fragilità, ammettono i loro sbagli e sono in grado di imparare da essi. Per di più, non importa quale sia la tua età, come sei vestito o se ti mancano dei denti, in ogni caso ti sarà data l’opportunità di parlare, di dire la tua, di farti valere.
Girl Power
Fin dall’inizio della serie abbiamo visto che i personaggi femminili hanno un ruolo molto importante in questo show. Eleven è, con i suoi poteri, pressoché invincibile, anche se fragile, Joyce è risoluta, Nancy non è la ragazzina perfettina incapace che pensavamo che fosse all’inizio della serie. Sono tutte donne forti, che si rivelano diverse da come appaiono
Ho letto molte critiche negative sull’evoluzione di Eleven che da “arma” si è trasformata in una “damigella in pericolo”. Ecco, se devo dirvi la mia non sono d’accordo con questa definizione: è una cosa nuova, un rovesciamento della medaglia quello che vediamo negli ultimi episodi della terza stagione, uno spunto da cui partire per fare grandi cose. Anche se è ovvio che le torneranno i poteri, mi intriga molto la prospettiva dei ragazzi che lottano contro le creature del Sottosopra senza il suo aiuto.
Mi è piaciuta anche la sua amicizia con Max: da rivali si sono trasformati in amiche. È proprio grazie alla ragazzina dai capelli rossi che, infatti, Eleven (e Mike) capisce una lezione importante: le persone non si posseggono ma devono essere libere di poter essere chi vogliono, hanno la loro individualità e isolarsi dagli altri solo perché si è innamorati non è una mossa giusta o sana. Soprattutto per una ragazza come El che non ha mai avuto veramente esperienza del “mondo reale” o di una vera amicizia. Sono contenta quindi che abbiano stretto amicizia e che Max sia entrata a far parte di questo gruppo.
Parlando di Max, mi è piaciuto come abbiano normalizzato la figura della ragazza che gioca ai videogiochi e va sullo skateboard ma che mantiene però intatta la sua femminilità. Un altro stereotipo rotto, complimenti!
Altro personaggio straordinario è Nancy. Come ho detto, non è chi pensiamo che sia all’inizio della serie: non è la classica damigella in pericolo, anzi è in grado di utilizzare armi da fuoco come un vero cacciatore di teste. Anche lei ha una grande fiducia in sé stessa ed è determinata a dimostrare agli altri che non è una stupida. Specialmente sul posto di lavoro, dominato da maschilismo e misoginia.
Ho apprezzato anche lo scorcio che hanno dato della visione della donna che, purtroppo, anche a distanza di anni e anche se ci troviamo “nell’epoca del progresso”, non è cambiata molto: non è vista di buon occhio, non è in grado di pensare con la propria testa, il lavoro vero devono farlo gli uomini. Le parole della madre di Nancy sono dolorose ma colme di forza e di orgoglio per la figlia: Nancy sarà la donna che lei non ha avuto la forza di essere.
Il realismo storico
Il centro commerciale è una trovata davvero geniale per far in modo che i personaggi non si ritrovino a muoversi sempre negli stessi luoghi. Un modo per portare una ventata di novità, senza allontanarsi dall’origine di tutto. Inoltre, grazie al centro commerciale, vediamo una parte importante della realtà storica di quegli anni: la distruzione delle piccole cittadine come Hawkins a causa del capitalismo e del grande consumismo. Grazie a una protesta davanti al Municipio, non solo viene introdotto il corrotto sindaco Larry, ma veniamo a conoscenza del disagio dei cittadini. I negozi sono costretti a chiudere perché le persone non vanno più a comprare in città, non sono interessate ai soliti negozietti privi di lucine colorate e prodotti di marca e Hawkins si trasforma lentamente in una città fantasma con serrande chiuse e poche persone per strada.
Insomma, come avete notato, potrei parlare a lungo di questa serie, ma direi che è arrivato il momento di finirla qui.
Ci tengo a dire che non vedo l’ora di vedere la prossima stagione che sono sicura porterà grandi cambiamenti!
Spero che rivedremo ancora Hopper. La scena della sua morte mi ha davvero distrutta ma la frase del russo alla fine “Non l’americano” mi fa sperare per il meglio.
E ora, è il momento di lasciare qui qualche domanda che mi sono fatta.
Che il campo di energia che si era sprigionato dalla macchina per aprire il portale si sia rivelato una specie di barriera per Hopper? Cosa ci fanno i russi con un Demo-cane e come fa ad essere ancora vivo se il portale è stato chiuso? Perché i russi volevano aprire il portale? Torneranno i poteri di El e come?
Per oggi è tutto, a presto con il prossimo articolo!
Flams
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Fantastico, mi trovo d’accordo su tutto!!
La prima stagione è stata una sorpresa e un piccolo capolavoro di equilibrio stilistico, la seconda un degno sequel. La terza, a mio pareree fa schifo: umorismo di bassissima lega, trama risibile; la caratterizzazione dei personaggi sacrificata al dio denaro che vuole lo show fruibile da un pubblico il più vasto possibile sull’onda dell’inaspettato successo. Mi avrebbe spezzato il cuore, non fosse che la parodia dell’opera di un tempo (sembrano passati secoli dato il divario qualitativo): così mi ha solo dato sui nervi.