“La parola jazz nella sua marcia verso la rispettabilità ha significato prima sessualità, poi danze, infine musica. È associata a uno stato di eccitazione nervosa, non dissimile da quello di grandi città poste nelle immediate retrovie del fronte.”
Gli Anni Ruggenti e L’Età del Jazz:
L’età del jazz, più frequentemente nominata nella forma inglese Jazz Age, è il periodo 1918-1928, dagli anni successivi alla fine della prima guerra mondiale, caratterizzati dai ruggenti anni venti, all’avvento della Grande depressione. L’età prende il nome dal jazz, noto genere musicale che in quegli anni ha visto un enorme incremento di popolarità in molti strati della società. La tendenza principale di quel periodo è quella di protendere verso il progresso e la modernità, si noti nell’arte il Futurismo.
Si registrarono nel periodo:
- un ritorno alla normalizzazione dopo i disastri della prima guerra mondiale
- l’esplosione del fenomeno della musica Jazz
- l’evoluzione della femminilità che portò (oltre a mutamenti nella moda) a fenomeni di proto-femminismo come le suffragette e le anglosassoni flapper (equivalenti alle francesi garçonne o alle italiane maschiette)
- lo sviluppo in campo artistico dell’art déco.
Sul piano del costume e della cultura, lo spirito degli Anni ruggenti fu segnato da una generalizzata percezione di discontinuità associata ad un bisogno di modernità conseguente ad una necessaria rottura con la tradizione. Tutto pareva poter essere assoggettato alle moderne tecnologie. Le nuove tecnologie, specialmente, l’automobile, il cinema e la radio erano l’espressione principale (come scoperta dell’uso dei mass media) di questa modernità. Il divertimento, lo svago e gli hobby furono influenzati dai cambiamenti. Grazie anche alla diffusione del grammofono e del fonografo (con la nascita di colossi della discografia come la Victor), furono molte le persone che si avvicinarono più di quanto non fosse accaduto in passato alla musica (in particolare a quella jazz, come detto) e alla danza, quasi un riflesso incondizionato tendente a rimuovere il ricordo degli orrori del primo conflitto mondiale. Con l’avvento del sonoro nel 1927 viene prodotto Il cantante di jazz (The Jazz Singer), il primo film parlato della storia del cinema. L’anno successivo, nel 1928, Walt Disney presenta il suo primo cortometraggio con il personaggio di Topolino, intitolato Steamboat Willie.
A distanza di un secolo, siamo abituati a considerare gli Anni Venti come una sorta di periodo di transizione in cui i sistemi totalitari muovevano i primi passi e preparavano la rovina dell’Europa. In realtà per i contemporanei rappresentarono una svolta epocale per quel che riguarda i costumi, le abitudini e, soprattutto, il rapporto intergenerazionale.
La grande esplosione creativa che ha caratterizzato la moda e l’arte è figlia di un’autentica “rivoluzione gerarchica” all’interno dei nuclei familiari: l’assenza prolungata dei capifamiglia, impegnati al fronte, ha messo in discussione la fino ad allora indiscussa autorità patriarcale. Il contemporaneo distacco di molti figli ha contribuito alla formazione di quella mentalità indipendente che avrebbe portato ai grandi movimenti per la liberazione dell’individuo, tra i quali spicca quello per l’emancipazione femminile.
L’affermazione del cinema e del divismo hollywoodiano, il boom dei mezzi di comunicazione di massa e i grandi risultati raggiunti dalla scienza applicata hanno fatto il resto. Nel rialzarsi dalla desolazione della guerra, l’Europa guarda all’America e vi si ispira, “prendendo in prestito” grandi conquiste espressive come, per l’appunto, la musica jazz. Fa il giro del mondo il mito di Duke Ellington, che si esibisce nel celebre Kentucky Club di Broadway, a New York, e l’inimitabile voce di Bessie Smith. E con loro, la moda del “vivere la notte”.
La”power couple” degli Anni Venti: Scott e Zelda
Ogni secolo, ogni periodo ma anche ogni luogo ha una propria coppia, la cosidetta “power couple”. Se c’erano Brad e Angelina, adesso abbiamo Chiara Ferragni e Fedez o Kim e Kayne. Gli anni Venti avevano protagonisti Francis Scott Fitzgerald e Zelda Fitzgerald. Lui del 1896, lei del 1900, si conobbero nel 1918 in Alabama, quando Zelda era una delle giovani debuttanti più ammirate e Scott un militare non proprio di prima linea ma già con programmi di gloria letteraria; al giovane scrittore bastò un solo ballo per innamorarsi, ma dovette iniziare un fidanzamento estenuante fatto di regali costosi, lettere infuocate (nel bene e nel male), ripensamenti, gelosie, viaggi disperati in treno, riconquiste e ulteriori perdite. Nel frattempo Fitzgerald si era trasferito a New York e aveva iniziato la sua sfolgorante carriera letteraria: la pubblicazione di Al di là del Paradiso nel 1920 lo consacrò immediatamente come la voce schietta, controllata e brillante di un’intera generazione; venne la fama, e con essa i soldi (molti soldi), e a quel punto Zelda sembrava aver vinto ogni ritrosia. Vissero per la prima parte del decennio come la coppia più affascinante e chiacchierata di New York, simbolo di un’era del Jazz scintillante, dispendiosa, dissoluta, imbevuta d’alcol e gloria. Poi sopraggiunse il proibizionismo, e la noia: i Fitzgerald si imbarcarono nel 1924 per l’Europa, raggiungendo prima la Costa Azzurra, poi Parigi e la Svizzera. Fitzgerlad guadagnava benissimo vendendo articoli e racconti, la coppia sperperava un’enormità di denaro. Nel frattempo avevano avuto una figlia, Scottie, relegata quasi sempre a una tata, perché i genitori erano ognuno impegnato con le proprie ossessioni. Scott limava le sue opere all’esaurimento, soffriva di insonnia, era irrequieto, ma soprattutto beveva in modo sconsiderato. Zelda era discontinua, volubile, sempre alla ricerca di nuove emozioni, nel 1927 si convinse che sarebbe dovuta essere un’icona del ballet parigino e dunque si allenava e prendeva lezioni di danza fino alla sfinimento. Il loro era un rapporto dominato dall’alternanza di periodi di grande attaccamento ad altri di quasi indifferenza, sempre venato dalla gelosia, dalla possessività. Scott era spesso brutale con la moglie, mancandole di rispetto in vari modi e, fra l’altro, saccheggiando i diari e le lettere di lei per introdurre alcuni passi nei suoi romanzi. (non proprio il dolce Tom Hiddleston che vediamo in Midnight in Paris). La svolta inevitabile giunse pochi anni dopo: nel 1925 Fitzgerald aveva pubblicato il suo libro più famoso Il Grande Gatsby, che gli era costato grande impegno fisico ed emotivo e nel quale aveva tradotto la sua disillusione e le sue insicurezze riguardo ai rapporti amorosi, riflessione originata dalla presunta infedeltà della moglie. Zelda aveva negli anni coltivato dentro di sé la mania autodistruttiva che probabilmente, in un paio di occasioni, l’aveva spinta al suicidio (una delle manifestazione di queste sue ossessioni era l’accussare ripetutamente il marito, entrato in stretti rapporti con Hemingway in quegli anni, di essere omosessuale e di avere una storia con lui). Nel 1930 la crisi raggiunse il suo apice: a Zelda fu diagnosticata la schizofrenia e fu rinchiusa in un sanatorio parigino, prima di iniziare la sua odissea fra varie, costosissime cliniche svizzere. In tutti questi anni l’amore fra Scott e Zelda si rivelò, tuttavia, nella sua essenza più pura: nonostante l’incompatibilità, la gelosia, gli eccessi, i due nutrivano l’un per l’altra un sentimento puro, sublimato, che in qualche modo li sosteneva a vicenda; lo scrittore mandava alla donna grandiosi mazzi di fiori ogni due giorni e le scriveva lettere di grande intensità; allo stesso modo lei lo designava come l’unica figura in modo da ricondurla alla normalità. Nel 1934 tornarono negli Stati Uniti, prima assieme in Alabama presso la casa di lei, poi Fitzgerald si mosse a Hollywood, motivato dalle paghe stratosferiche, data l’enormità dei suoi debiti. La lontananza li divise praticamente in modo definitivo: in quegli ultimi anni Scott si trovò un’altra donna e smise perfino di bere, ma gli eccessi del passato e le fatiche letterarie a cui si dedicava in modo incessante l’avevano minato nel profondo, fino a condurlo alla morte improvvisa, a soli 44 anni, nel 1940. Zelda gli sopravvisse, sempre più ossessionata dalla sua malattia che si era fatta più tremenda per la consapevolezza di aver perso l’amore di una vita. Ciò non le impedì di collaborare alla revisione dell’ultima opera del marito rimasta incompiuta, The Last Tycoon. La fine di lei fu ancora più tragica di quanto non ci si possa aspettare: nel 1948 un incendio divampò nella clinica psichiatrica in cui era in cura, mentre lei era chiusa a chiave in una stanza in attesa di un elettroshock. La riconobbero per una pianella sopravvissuta parzialmente alle fiamme.
“Erano la stessa persona, con due cuori e due testi; e queste cuori e queste teste si volgevano appassionatamente l’una verso l’altro, l’una contro l’altro, fino a ardere in un unico rogo”
Amare negli Anni ’20
«Scott, sei proprio spaventosamente sciocco – In primo luogo, non ho dato a nessuno il bacio d’addio, e in secondo luogo, nessuno è partito – tu sai, tesoro, che ti amo troppo per volerlo. Se avessi un onesto – o disonesto – desiderio di baciare solo una o due persone, lo farei – ma non potrei mai volerlo – la mia bocca è tua. Supponi che io lo faccia – sai che non conterebbe assolutamente nulla – perché non puoi capire che niente significa niente eccetto la tua cara persona e il tuo amore? – Desidererei che ci affrettassimo e che io fossi tua, così sapresti – qualche volta quasi dispero di farti sentire sicuro – così sicuro che nulla ti potrebbe mai far dubitare come dubito io».
-Zelda Fitzgerald al marito Scott
«Non riesco a dire come ogni volta che metto le mie braccia intorno a te, io mi sento a casa.»
-Ernest Hemingway a Marlene Dietrich
“Mia cara Clemmie, nella tua lettera da Madras hai scritto alcune cose a me molto care, circa l’averti arricchito la vita. Non posso dirti che piacere questo mi ha dato, perché mi sento sempre tremendamente in debito, se è consentito fare questo tipo di conti in amore”
-Winston Churchill alla moglie Clementine
“Ancora sabato. Questo incrociarsi di lettere deve cessare, Milena, ci fanno impazzire, non si ricorda che cosa si è scritto, a che cosa si riceve risposta e, comunque sia, si trema sempre. Capisco benissimo il tuo ceco, odo anche la risata, ma m’ingolfo nelle tue lettere tra la parola e il riso, poi odo soltanto la parola, poiché oltre a tutto la mia natura è angoscia. Non so rendermi conto se dopo le mie lettere di mercoledì-giovedì tu voglia ancora vedermi. So il rapporto fra te e me, (tu appartieni a me, anche se non dovessi vederti mai più), lo conosco in quanto non sta nel territorio confuso dell’angoscia, ma non conosco affatto il rapporto tuo verso di me, questo appartiene tutto all’angoscia. E neanche tu mi conosci Milena, lo ripeto) (a). Ciò che accade è per me qualcosa di mostruoso, il mio mondo crolla, il mio mondo risorge, vedi come tu (questo tu sono io) ne possa dare buona prova. Non mi lagno del crollo, il mondo stava crollando, mi lagno del suo ricostruirsi mi lagno delle mie deboli forze, mi lagno del venire al mondo mi lagno della luce del sole. Come continueremo a vivere? Se dici di sì alle mie lettere di risposta, non devi più vivere a Vienna, è impossibile. Milena, non si tratta di questo, tu non sei per me una signora, sei una fanciulla, non ho mai visto nessuna che fosse tanto fanciulla, non oserò porgerti la mano, fanciulla, la mano sudicia, convulsa,unghiuta, incerta e tremula, cocente e fredda.”
-Franz Kafka a Milena Jesenskà
Spero vi sia piaciuto questo tuffo nel passato.
with love
-Aurora