Caro Basket,
sin dal momento in cui ho cominciato ad arrotolare i calzettoni di mio papà
e a immaginare canestri decisivi per la vittoria al Great Western Forum,
mi è subito stata chiara una cosa: mi ero innamorato di te.
Un amore così grande che ti ho dato tutto me stesso,
Come un bimbo di sei anni, innamorato, non ho mai visto la luce in fondo al tunnel.
Mi vedevo soltanto correre, e così ho corso. Su e giù per ogni campo, rincorrendo ogni pallone per te. Mi hai chiesto il massimo sforzo, così ti ho dato il mio cuore.
Ho giocato quando ero stanco e affaticato, non perché fossero state le sfide a chiamarmi, ma perché TU mi hai chiamato. Ho fatto qualsiasi cosa per TE, perché così fanno le persone quando qualcuno le fa sentire vive (come hai fatto tu con me).
Hai dato a un bimbo di sei anni il sogno di essere un giocatore dei Lakers e ti amerò sempre per questo. Ma non posso amarti in modo ossessivo per molto tempo ancora. Questa stagione è tutto quel che mi rimane da darti.
Il mio cuore può reggere il peso, anche la mia mente, ma il mio corpo sa che è giunto il momento di salutarci. Ma va bene così.
Sono pronto a lasciarti andare. Volevo che tu lo sapessi,
così potremo assaporare meglio ogni momento che ci rimarrà da gustare insieme.
Le cose belle e quelle brutte. Ci siamo dati l’un l’altro tutto. Ed entrambi sappiamo che, qualsiasi cosa farò, sarò sempre quel bambino con i calzettoni, il cestino della spazzatura nell’angolo e 5 secondi ancora sul cronometro, palla in mano.
5… 4… 3… 2… 1.
Ti amerò sempre.
Tuo Kobe
Il corto animato realizzato con questa lettera
La sirena è suonata il 26 Gennaio 2020, la partita si è conclusa, Kobe Bryant ne è uscito ancora una volta vincitore. Sì perché ora tutti stanno parlando di lui, anche chi non ha mai visto una sua giocata, anche chi non l’ha mai sentito parlare in italiano perfetto, il mondo intero si stringe intorno alla famiglia di Bryant che oltre a lui ha perso anche la figlia Gianna Maria ma per tutti Gigi e alle altre vittime.
Grazie Kobe
È una calda estate, abito proprio di fronte ad un oratorio e da qualche giorno qualcuno sta facendo qualcosa di nuovo su quel campo un tempo utilizzato per giocare a calcetto prendendo la struttura del canestro come porta in miniatura. Qualche ragazzo sta finalmente usando quei canestri e io li conosco perciò mi aggrego. Scocca la scintilla, non avevo mai pensato che uno sport potesse prendermi in questo modo. L’interesse cresce e la voglia di sapere mi spinge a comprare riviste che parlano di quel campionato americano che avevo intravisto in Space Jam. Nelle riviste ci sono dei poster e c’è anche quello di un ragazzo che è passato direttamente dalle superiori alla lega più importante del basket mondiale. Finisce in camera insieme a tutti gli altri poster, il muro è tappezzato.
Sapevo della sua ossessione per il lavoro da solo, e mi convinsi che anche solo per un giorno, sarei dovuto arrivare in palestra prima di lui. Il primo giorno giunsi al palazzetto due ore prima dell’allenamento, e me lo trovai lì. Allora mi presentai tre ore prima dell’allenamento, e lui era lì. Il giorno dopo, per ripicca, arrivai quattro ore prima dell’allenamento, e lui era lì. Mi parve incredibile e gli chiesi “ma non hai due bambine da portare a scuola?” “certo, mi disse, le ho portate alle otto” “non è possibile, sono arrivato alle sette e mezzo e ti ho visto qui”. “Tu mi hai chiesto se ho portato le mie figlie a scuola, non a che ora sono arrivato”.
Ron Artest
Dopo poco tempo mi ritrovo con la maglia numero 8, viola, dei Los Angeles Lakers, misura L. Mentre gioco al campetto che nel frattempo abbiamo sistemato con la promessa che se lo avessimo fatto l’oratorio avrebbe costituito una squadra. Gioco e cerco materiale su Kobe, internet non è veloce come nel 2020 e le immagini sono quello che sono. Con la speranza un giorno di poter vedere dal vivo quel campione che tanto ammiro.
Entrai in palestra e me lo trovai lì. La cosa non mi sorprese particolarmente, anzi, in realtà capitava tutti i giorni. Ma quel giorno c’era qualcosa di strano: non c’era neppure un pallone in tutto il palazzetto, eppure lui era sudato fradicio. Stava provando, completamente da solo, dei movimenti senza palla, robe tipo tagli, blocchi, allontanamenti. Gli chiesi se fosse impazzito. Mi rispose che non capiva come mai nessun altro lo facesse.
Shaquille O’Neal
Arrivano anche i videogiochi di basket, uno ogni anno, e Lakers sono la squadra con cui gioco più partite. Nasce anche la mia squadra e realizzo quanto sia difficile giocare, quanto si debba conoscere e imparare movimenti, trucchetti, schemi. Eppure guardando Kobe sembra tutto così facile. Solo allora ne capisco la grandezza, quella dei campioni veri che riescono a far sembrare semplice anche la più difficile delle prodezze.
Un giorno sono entrato in palestra e Kobe stava tirando dal gomito dell’area. Gli ho chiesto “da quanto sei qui?” e lui mi ha risposto “da venti minuti”. Anche a me andava di fare un po’ di tiro e gli ho chiesto se gli andasse di fare una gara. “Non posso” mi rispose “ho appena iniziato con questo tiro”. Gli chiesi se da venti minuti stesse tirando dallo stesso gomito dell’area e mi rispose di sì. “Torna fra 40 minuti, per allora dovrei avere finito”. Me ne andai, ma non volevo credere che una persona potesse tirare per un’ora intera dalla stessa, noiosissima posizione, così tornai 35 minuti dopo e lui era ancora lì. Da 55 minuti tirava dalla stessa identica inutile posizione senza neppure muovere i piedi
Jamal Crawford
L’insegnamento di una carriera
Kobe Bryant ci ha insegnato che bisogna impegnarsi in tutto ciò che si fa perché senza il duro lavoro anche il talento più cristallino viene sprecato. La scelta numero 13 al draft (le selezioni delle nuove promesse Nba) del 1996 è diventata una leggenda grazie al suo impegno. La prima stagione chiusa con 7 punti circa di media partendo dalla panchina lo ha spronato a dare il massimo arrivando all’apice della carriera con una media punti di 35 a partita, vincendo 5 volte il titolo NBA e diventando uno degli sportivi più importanti di sempre.
Lorenzo