Già capo delle squadre mobili di Vicenza e Verona, nel 2014 Piernicola Silvis è stato ordinato Questore di Foggia, dove i romanzi oggetto di questa recensione sono in larga parte ambientati.

Quale uomo di legge, ha esperienza diretta della materia trattata e tanto basterebbe a rendere accattivanti le sue produzioni; nondimeno l’autentico tratto distintivo (altro che chiacchiere – cit. “Gli intoccabili”) di Silvis è la scrittura: asciutta, coinvolgente, priva di eccessi e avvincente dalla prima all’ultima riga.

Protagonisti della narrazione sono il poliziotto Renzo Bruni e la sua nemesi, Diego Pastore.

Il primo, in bilico tra la propria squisita umanità e l’abnegazione ai valori cui il suo mestiere lo consacra, richiama giocoforza (inestimabile valore aggiunto) i martiri della lotta alla criminalità.

L’epica del personaggio è al contempo eroica e drammaticamente realistica: nessun super potere, a meno di non considerare tale una volontà di ferro unita all’adamantino senso del dovere.

A scanso fraintendimenti, anche se ho scelto al definizione “martire” ciò non implica per Bruni un epilogo tragico (o sì? Lo scoprirete leggendo); mi riferivo piuttosto al sacrificio dolente degli affetti famigliari e della vita privata in nome di un ideale più alto.

Laddove Renzo rappresenta la luce della ragione, un ordine pur imperfetto che si contrappone al caos (echeggiando le parole di Massimo Decimo Meridio nel prologo de “Il gladiatore”), il serial killer pedofilo Diego Pastore di quello stesso caos è il dionisiaco alfiere.

Due stereotipi? Niente affatto.

Se Bruni vive il proprio eroismo fino in fondo, tale attitudine è sempre corroborata da una precisa scelta. Passo dopo passo, Renzo decide del proprio destino in accordo con la vocazione all’integrità che costituisce il nucleo del suo essere: compromessi o scorciatoie non sono contemplati. E la paga cara, senza sconti.

Nella caratterizzazione di Diego Pastore, Silvis supera se stesso.

Pur tratteggiando le efferatezze di un assassino seriale (pedofilo!) riesce a farci empatizzare col soggetto, grazie a una prosa coinvolgente e alla non facile astensione da qualsiasi giudizio morale. Diego è un personaggio quadrimensionale, giacché alle tre dimensioni canoniche se ne aggiunge una quarta: ineffabile, indefinibile, correlata all’umana (e disumana) sofferenza e all’infanzia rubata.

Sullo sfondo la città di Foggia e la temibile “Quarta mafia”, i cui esponenti, comprimari di lusso al “cast” principale, si imprimono a fuoco nella memoria.

In occasione dei numerosi episodi di estrema violenza latitano i dettagli “grafici”: l’onere dell’immaginazione è delegato al lettore. Più che descritto l’orrore viene evocato, tecnica controcorrente ma di efficacia indubbia in cui l’autore ancora una volta eccelle.

 

Di seguito un estratto della presentazione di Renzo Bruni ai lettori a opera del medesimo.

“Mi chiamo Renzo Bruni. Il mio lavoro è applicare la legge e cerco di farlo nel migliore dei modi. Non sempre ci riesco, comunque ci provo. Di storie ne ho vissute molte. Le ho sofferte tutte.”

Poche parole, pregne di significato, cui si contrappone il folle, laconico motto di Diego Pastore, a cavallo fra due spot pubblicitari degli anni ’80 con Catherine Deneuve e Raz Degan:

“Je suis Diego” (Io sono Diego).

Nessuna spiegazione, tanto meno una dichiarazione di intenti.

Perché il male, semplicemente “é”.

Fatevi un favore e leggete “Formicae” e il sequel “La lupa”. Non ve ne pentirete.

 

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