Ci ho messo tanto a convincermi, sono stata implorata da alcuni dei miei amici più stretti, ma alla fine ho ceduto: ho iniziato (e finito) Il racconto dell’ancella, serie nata 40 anni dopo la pubblicazione dell’omonimo libro di Margaret Atwood. Una serie che fa discutere per le sue tematiche e i suoi modi, ma prima di entrare nel vivo del commento, un piccolo riassunto della trama.

Trama

Dopo un colpo di Stato, gli Stati Uniti sono spaccati a metà: è nata Gilead, una repubblica – o presunta tale – fortemente basata sul patriarcato e su un particolare passo della Bibbia, in cui Rachele, sterile, chiede a Giacobbe di prendere in moglie e successivamente fare un figlio con la schiava Bila, per poter avere un figlio suo. In un periodo in cui l’infertilità ha toccato picchi allarmanti, questo precetto viene ingigantito e portato all’estremo, portando a una suddivisione folle delle donne: Martha, che aiutano in casa, Moglie, nel caso di donne particolarmente potenti e sposate coi Comandanti, Zia, cioè coloro che educano le Ancelle e quest’ultime, uniche donne fertili rimaste.

A ogni famiglia potente viene assegnata un’ancella, che avrà il compito di essere stuprata dal capofamiglia – sotto gli occhi attenti della moglie – fino a quando la donna non rimarrà incinta. Una società asfissiante, in cui la religione diventa solo un pretesto per sottomettere le donne, in cui alle ancelle viene tolto persino il nome.

Una fotografia incredibile

Una delle prime cose che mi ha colpito guardando questa serie è la cura dei dettagli, la fotografia. Tra le cose che salta all’occhio è il grandissimo contrasto tra l’ambiente circostante, che spazia dal grigio al bianco dell’inverno, e le vesti rosse delle ancelle, il cui colore è stato scelto proprio per essere visibile. Ci sono spesso primi piani degli occhi incredibilmente espressivi di June, ancella protagonista di queste vicende, che ci racconta il mondo malato di Gilead. Spesso la telecamera indugia sulle mani, su un secondo appena di conforto che queste donne possono concedersi, sul sangue che tocca la neve e la sporca.

Un altro contrasto cromatico ce lo spiega proprio June ed è quello tra ancelle e Marthe: le prime rosso fuoco, per essere visibili a tutti i costi quando cercano di scappare, le seconde di un colore indefinito tra il verde e il grigio, talmente invisibili che nessuno si accorge della loro assenza.

Attrici con la A maiuscola

Uno dei meriti maggiori de Il racconto dell’ancella è senz’altro la bravura delle sue attrici, in particolare Elisabeth Moss ‒ che interpreta June o Difred che dir si voglia ‒ e Yvonne Strahovski, nel ruolo di Serena Joy Waterford, moglie di un comandante. Pur recitando in due ruoli completamente agli antipodi, le due attrici hanno portato avanti un’interpretazione magistrale, talvolta anche solo con uno sguardo o un’alzata di sopracciglio. I due personaggi sembrano essere stati cuciti addosso a loro e risultano così credibili da far venire la pelle d’oca alla fine di ogni episodio. Da un lato June, con le sue occhiatacce e la rabbia che spesso la rende quasi brutta, dall’altra Serena, che perde tutto o quasi, ma sembra rimanere sempre composta, impeccabile.

Insomma, una serie che dovete assolutamente vedere e di cui potrei parlare per altri 15 articoli, non solo perché mi ha entusiasmata, ma per un fattore molto più importante: perché mi ha ricordato quanto potere hanno le donne. E guai a zittirle!

E se vi piace come scrivo, cliccate QUI per leggere la trama del mio libro!