La confessione di Lev Tolstòj è un trattato autobiografico di contenuto religioso. All’interno del libro Tolstoj analizza la fede, il non-senso della vita e tutti i pensieri suicidi che lo hanno quasi condotto alla morte. Tolstoj si domanda “Vi è nella mia vita un qualche senso che non venga annullato dalla morte?” e lo fa anche attraverso delle storie tratte dalla saggezza orientale.
Storia del viandante
Nella Confessione Tolstoj racconta la storia del viandante, che è per l’autore metafora della vita.
Un viandante è inseguito in una steppa da una belva inferocita, e per mettersi in salvo dalla belva balza dentro un pozzo senza acqua, ma sul fondo vede un drago che spalanca le fauci per divorarlo. Il viandante, allora, sa che se strisciasse fuori dal pozzo sarebbe divorato dalla bestia, ma se saltasse nel pozzo verrebbe divorato dal drago.
Quindi si afferra ai rami di un cespuglio selvatico cresciuto nelle fenditure del pozzo e si regge ad esso. Le sue mani allentano la presa ed egli sente che presto dovrà arrendersi alla fine che lo attende da entrambe le parti, ma continua a reggersi. Mentre sta aggrappato si guarda attorno e vede due topi, uno nero e l’altro bianco, che iniziano a rodere il fusto del cespuglio a cui egli è appeso. Il cespuglio sta per precipitare. Così come il viandante che cadrà nelle fauci del drago, l’uomo vede tutto ciò e sa che inevitabilmente morirà; ma mentre sta così appeso cerca intorno a sé e trova sulle foglie del cespuglio delle gocce di miele, le raggiunge con la lingua e le lecca.
Tolstòj quindi afferma:
“Così anch’io mi reggo ai rami della vita sapendo che il drago della morte, pronto a sbranarmi, mi aspetta inevitabilmente e non posso capire come mai sono sottoposto a questa tortura. Ed io provo a succhiare quel miele in cui prima trovavo consolazione; ma questo miele ormai non mi rallegra più e il topo bianco e il topo nero – giorno e notte – rodono il ramo a cui mi reggo. Vedo chiaramente il drago, e il miele non è più dolce per me. Vedo una cosa sola: il drago inevitabile e i topi – e non posso distogliere lo sguardo da essi. E questa non è una favola bensì la vera verità, indiscutibile e comprensibile a tutti.”
Storia del principe indiano
Tolstoj riprende anche un’altra storia tratta dalla saggezza indiana, che racconta la storia di un principe.
Sakya-Muni è un giovane principe felice, cui sono state nascoste le malattie, la vecchiaia e la morte. Va a fare una passeggiata in carrozza e vede un vecchio. Il principe, si meraviglia e chiede al cocchiere perché quell’uomo sia giunto a ridursi in uno stato così pietoso e indecente. Quando viene a sapere che questa è la sorte comune a tutti gli uomini, e che anche su di lui, giovane principe, incombe lo stesso destino, egli non può più continuare la sua passeggiata. Torna indietro e si chiude a chiave da solo, e riflette. Probabilmente riesce a inventarsi una consolazione qualsiasi perché di nuovo felice e contento riparte per una passeggiata. Ma questa volta gli si fa incontro un malato, livido e vacillante.
Il principe si ferma e chiede di cosa si tratti, e viene a sapere che è la malattia, e che anche lui, principe felice e sano, domani potrebbe ammalarsi allo stesso modo. Il principe ancora una volta dà ordine di ritornare, e di nuovo cerca di ritrovare la calma e probabilmente ci riesce perché per la terza volta inizia una passeggiata. Questa volta egli vede che stanno trasportando un uomo morto. Il principe si avvicina al morto e lo guarda e gli viene spiegato che lo metteranno sotto terra perchè non sarà mai più vivo e da lui verranno solo putredine e vermi. Il principe allora non vuole più continuare la passeggiata e non riesce a trovare consolazione nella vita. Decide che la vita è il più grande dei mali e adopera tutte le forze dell’animo per liberarsene e per liberarne gli altri.
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Qui Veronica Scrive, passo e chiudo!