La verità, Vi prego, sull’amore, che per inciso non è
“La verità sul caso Harry Quebert.”
(No spoiler)
Si inizia col presentare i personaggi: pochi minuti dopo segue l’ennesima marchetta a favore dell’industria del tabacco cui le ultimi produzioni televisive made in U.S.A. sembrano proprio non voler rinunciare.
Lui (Patrick Dempsey), malinconico scrittore di best sellers, incontra lei, bellissima e bagnata fradicia perché ama danzare sotto la pioggia. Scatta il fluido erotico, ma quel gran pezzo di fanciulla che è Kristine Froseth nella finzione ha quindici anni (certo, come no), e se mai dovesse nascere l’amore (com’è ovvio accada) sarebbe un amore proibito, illegale e del tutto fuori dagli schemi.
Nel corso della narrazione il rapporto tra i due si sviluppa in maniera convincente andando a costituire forse l’unico punto di forza del serial; l’aspetto investigativo (già, perché ci scappa il morto, sennò di cosa si parlava?) appare invece carente sotto diversi aspetti.
Al netto di una vicenda non sempre credibile, spesso forzata, la caduta verticale dello show ha luogo in dirittura d’arrivo, quando una sequenza infinita di colpi di scena che manco Westworld spoglia la trama di ogni interesse, inducendo lo spettatore a invocare i titoli di coda.
Il ribaltamento di situazioni e ruoli sfiora la dozzina, risultando farraginoso e grottesco, soprattutto dal momento che l’intreccio, quantomai disomogneneo, si dipana lungo ben dieci episodi dei quali gli ultimi, francamente estenuanti.
Ammetto di aver sfiorato l’abbiocco. Capita di rado: il sottoscritto ha seguito con certosina dedizione “Dark” (prossimamente su queste pagine) e “The O.A.” (opere di notevole complessità e stratificazione) e se non posso dire lo stesso del primo, il secondo mi ha tenuto incollato allo schermo fino all’ultimo fotogramma.
Veniamo al cast.
Kristine Froseth non ha quindici anni ed è ben lungi da dimostrarli.
Patrick Dempsey è specializzato nel far la faccia da pesce lesso, e se questo funzionava (anche alla grande) in Grey’s Anatomy, ormai ha rotto i coglioni.
Ben Schnetzer interpreta una testa di cazzo (“Magnificent” Marcus Goldman!) e almeno all’inizio non può che risultare odioso.
Magari sia lui che Dempsey attireranno le simpatie del pubblico femminile, non certo le mie: l’uno presta le fattezze da bellimbusto a un giovane scrittore, arrogante e straricco, l’altro è Harry Quebert, sul quale vi farete un’idea quando finalmente saprete “La verità sul caso Harry Quebert”.
In corso d’opera il cast si arricchisce (si fa per dire) di ulteriori personaggi, quasi esclusivamente abietti, il cui comportamento non sempre appare coerente.
Concludo spezzando, nonostante tutto, una lancia a favore de “La verità sul caso Harry Quebert”: nella fase centrale risulta abbastanza avvincente; non mancano momenti di commozione, soprattutto il finale, ma tanto non basta a risollevare un prodotto riservato alle fan di Patrick Dempsey, del suo pupillo Schnetzer/Marcus e a chi sbava per Kristine Froseth (Ah Ah! Ne conosco almeno un paio che saluto affettuosamente).
Ma davvero, in America, se scrivi un romanzo che spacca diventi miliardario in una settimana?
Sia “La verità sul caso Harry Quebert” che il grandissimo (almeno nelle prime due stagioni) “The Affair”, paiono confermarlo.
Che invidia!