“Ci si può innamorare senza mai sfiorarsi?” Questa è la premessa che viene anche letta sui poster di A un metro da te, il nuovo film tratto dall’omonimo romanzo di Rachel Lippincott, che vede protagonista Cole Sprouse (già conosciuto per la serie tv di Disney Channel Zack e Cody al Grand Hotel e per il suo ruolo in Riverdale) e una talentuosissima Haley Lu Richardson. La pellicola vede la produzione e la regia di Justin Baldoni, conosciuto per il ruolo di Rafael Solano in Jane the Virgin, in cui ha anche sperimentato le sue doti meravigliose di regia (ha infatti diretto un episodio). L’attore e regista aveva già trattato il tema della fibrosi cistica, protagonista insieme agli attori di questo film. Infatti, aveva realizzato un documentario a riguardo: My Last Days. Per la sua realizzazione ha incontrato la youtuber Claire Wineland affetta da FC, la quale è diventata poi la sua consulente. Purtroppo, la ragazza è deceduta prima della pubblicazione del film, cui le è stato in seguito dedicato.
(qui un’immagine del regista Justin Baldoni sul set insieme ai due attori protagonisti)
(in questa seconda foto potete vedere il regista e la sua “consulente” Claire Wineland)
A un metro da te – l’ennesima solita storia d’amore?
La trama di questo film potrebbe non sembrarci nuova: due ragazzi affetti da una malattia terminale si innamorano l’uno dell’altro. Ricorda molto Colpa delle stelle, l’opera di John Green, solo che in questo caso specifico i ragazzi soffrono di fibrosi cistica.
Io mi reputo una persona cinica e ammetto che quando mi sono trovata a guardare questo film, ho subito immaginato che non mi sarebbe piaciuto, che sarebbe stata l’ennesima love story adolescenziale da carie ai denti. Alla fine dei conti pero’, non è stato proprio così.
La prima metà del film è interamente dedicata al racconto della vita in ospedale, dei limiti che i ragazzi affetti da FC devono rispettare, da tutto il dolore che provano. I primi minuti poi sono spettacolari: la protagonista parla con le sue amiche di un viaggio e l’ambientazione sembra quella di casa sua, per poi avere un ingrandimento e mostrare che invece si trova in una stanza d’ospedale.
Il film vuole parlare di questa storia d’amore, ma vuole anche mostrare come la quotidianità, il poterla vivere appieno, anche nelle sue piccole cose, sia un lusso che non sempre ci accorgiamo d’avere. Non ci rendiamo conto che la libertà di toccarci, l’importanza che ha un abbraccio è un qualcosa che non tutti possono avere. A un metro da te vuole puntare l’attenzione sulla valorizzazione di quella che è la possibilità di vivere appieno, non facendo cose straordinarie, ma vivendo nella normalità.
Il film è interamente girato all’interno di un ospedale, senza mai far sentire lo spettatore in trappola. I protagonisti non ci fanno vivere solo la loro malattia, ma i limiti che questa comporta. Penso che sia importante sensibilizzare le persone riguardo il fatto che esistono anche altre malattie mortali oltre al cancro, che invece è sempre più presente sui grandi e piccoli schermi. I mass media hanno il potere di parlare alle persone dei beni e dei mali che ci sono nel mondo: se le persone non sono informate, rimarranno ignoranti e non capiranno mai quanto sia preziosa la vita.
Chiedo perdono per lo sproloquio. Comunque, torniamo al film. Da persona cinica, vi posso dire che il film mi è piaciuto abbastanza. I dialoghi erano curati, non troppo ovvi e stereotipati, la regia è stata qualcosa di sensazionale. Quello che ha penalizzato questo film è stato il fatto che fosse focalizzato su un unico target d’età, cioè quello dei coetanei dei protagonisti della storia. Il film aveva tantissimo potenziale inesplorato che è rimasto lì, nascosto: il voler aprire quel vaso di Pandora avrebbe conferito più importanza a tutta la pellicola, andando magari anche a scuotere gli animi di persone un po’ più adulte. La storia è partita bene, ma poi ha abbracciato lo stereotipo e il “classico finale” (ma di quello ne parlerò poi).
A un metro da te sembra quindi l’ennesima e solita storia d’amore, in cui due persone si desiderano ma non possono aversi, poi inevitabilmente uno dei due muore per dare drammaticità al film e l’altra persona mostra di essere forte perché riesce a vivere anche senza di lui. Ecco, nei primi 2/3 del film mi sono ricreduta e ho capito che non era questo quello che avrei visto in questa pellicola. Il problema è stata l’inevitabile svolta drammatica che però, a mio avviso, è stata abbastanza scontata e banale. Hanno voluto costruire un climax ascendente arrivando poi nel culmine sbagliato, proprio perché potevano puntare molto più in alto.
La bravura degli attori
Sono rimasta piacevolmente sorpresa dall’interpretazione dell’attrice protagonista Haley Lu Richardson nei panni di Stella. Lei, ancor più che Cole Sprouse, ha mostrato la sofferenza, la felicità, l’increscere del desiderio del tocco di lui. I suoi occhi e le sue espressioni hanno permesso allo spettatore di entrare in perfetta empatia e sintonia con tutta la sua storia. In molti l’hanno definita un astro nascente del cinema e penso che non potessero dargli un nome più azzeccato (infatti nel film si chiama Stella… ok, scusate il gioco di parole). Cole Sprouse invece non ha brillato, si è limitato molto all’uso del suo sguardo magnetico, che però a volte stonava con la storia e con quello che si stava vedendo in quel momento.
Una delle scene che più ho apprezzato, per intensità, regia e interpretazione è quella che vede i due protagonisti nella piscina dell’ospedale. Ecco, in quello che per loro era il primo appuntamento tutto era dolce e non stucchevole, non c’erano banalità. I due si sono confidati e hanno parlato di loro. Hanno provato a vivere in modo normale un appuntamento rimanendo a distanza di un metro. Quel momento, in cui lei ha deciso di riprendersi un metro della sua vita, è stata una delle svolte più emozionanti. (Perché sì, una cosa che si scopre guardando questo film è che il contatto tra persone affette da FC non è consentito perché è altissimo il rischio di contagio).
Vederli seduti a bordo piscina è stato come sbirciare nella loro intimità. Ma il momento più bello è stato quando hanno rimarcato il fatto che non potevano toccarsi. Ecco, lì si è vista l’intensità degli attori e la loro bravura. Si toccavano con gli occhi, si abbracciano con lo sguardo, si baciavano con un battito di ciglia. Il fatto che usassero la stecca da bigliardo come se fosse un prolungamento del loro braccio è stato uno degli escamotage migliori che potessero trovare.
In quelle scene abbiamo visto il loro desiderio, il loro voler essere in intimità l’uno con l’altro, il loro voler scoprire le cicatrici l’uno dell’altro. La potenza che ha quella scena penso che mi rimarrà impressa per molto tempo. Non volevate anche voi che si avvicinassero? Che scoccasse finalmente il tanto agognato e desiderato bacio? Non eravate anche voi così?
Io ero così, volevo che accadesse perché le premesse c’erano, il desiderio erano palpabile e percepibile. Si stavano mangiando con gli occhi, ma sono rimasti lontani. Hanno deciso di mostrarci questo momento intimo con la distanza di sicurezza inserita.
Rispondo quindi alla domanda iniziale: sì, ci si può innamorare di qualcuno che non si è mai sfiorato. Ci si innamora della persona che si ha davanti, non si guarda il che cosa dimostra ma il chi è, tutto quello che l’ha portato a diventare quella persona, tutto quello che lo identifica. Il loro sembra un amore talmente bello che il ridurlo al contatto fisico ci fa paura, perché non vogliamo che si sporchi… che si contagi. Però, è la normalità che vuole che due persone si tocchino, perché è in quel gesto che troviamo conforto, che troviamo coraggio, che troviamo amore. È in quel gesto che noi abbracciamo la nostra normalità.
Quando sei sul punto di dire “questo è un gran film, l’ho sottovalutato”, ecco che arriva dietro l’angolo. Il caro, vecchio, classico e noioso cliché.
La terza parte del film: quello che (per me) è andato storto
A parte il fatto che una cena clandestina in ospedale, come hanno fatto loro per il compleanno di Will non si è mai vista, ma ok. Ecco, è da lì che il film prende la piega dell’ovvietà. Da quella festa poi arriva la morte del caro amico di Stella, Poe. Quella scena così girata bene, così interpretata magistralmente da tutto il cast, sembra messa a caso all’interno di tutta la storia. Sembra proprio che sia stata messa apposta per mettere il plot twist verso la fine della pellicola, giusto per dargli quel sapore in più.
Non mi è piaciuta come scelta, avrei preferito fosse gestita meglio come “morte”, data l’importanza che Poe ha avuto nella storia di Stella.
Per non parlare poi del fatto che, di punto in bianco, una ragazza fissata con l’ordine e maniaca del controllo, decide di mandare tutto a quel paese per vedere le luci. Ok, era il suo desiderio, ma scherziamo? Fa 3 km a piedi e poi va su un lago ghiacciato. Ecco, io in quel punto ho iniziato a perdere la testa. In ogni film che si rispetti, quando si va su una superficie ghiacciata poi c’è sempre una tragedia alla fine. MA CHI GLIELO HA FATTO FARE? La bellezza di questo film è stata profondamente turbata e macchiata da questa svolta adolescenziale e banale.
Ho apprezzato quando Will ha deciso di rischiare e di fare la respirazione bocca a bocca per salvarla, ma ho perso la ragione quando ho visto che ha mandato un messaggio a qualcuno invece di chiamare i soccorsi. Cioè, ma siamo seri? Che poi, è raro trovare un film che mostri le procedure di massaggio cardiaco corrette, ma qui siamo al limite. Lo sanno anche i bambini che non si deve fare solo la respirazione bocca a bocca. Lui cosa fa? Solo quella, ovvio.
Dopo queste scene che mi hanno fatto impazzire, ecco il finale vero e proprio.
La decisione di lui di allontanarsi era dietro l’angolo, quindi non era così innovativa, diciamo però che la modalità con cui l’ha fatto è stata (da me) apprezzata. Mi è piaciuto quel momento dolce che lui ha voluto regalarle alla fine, come ultimo ricordo di lui (e lo dico da persona cinica). Allo stesso tempo, trovo che sia stato giusto chiudere il film con la ripresa del discorso iniziale che Stella fa nei primi minuti.
Come dicevo, il desiderio di voler trattare una storia d’amore in modo diverso da quello abituale c’era (secondo me), ma poi la sceneggiatura è caduta nella banalità. Il finale ha cambiato le carte in tavola, ha ridotto a banalità le difficoltà e i limiti fisici, ha usato escamotage prevedibili. Questo non fa del film una pellicola memorabile.
Non mi pento di aver visto A un metro da te, mi sono anche commossa qualche volta per qualche istante, proprio perché si erano staccato dai margini di un teen drama: per la maggior parte del film è andato oltre, ma poi c’è ricaduto alla grande nel finale. Detto questo, penso che comunque mi rivedrò questo film, anche solo per ammirare le scelte di regia e la bravura dell’attrice protagonista.
Il messaggio che voleva lasciare questo film è passato in secondo piano per le scelte di sceneggiatura. Per questo, sapendo già come va a finire, forse, merita di essere visto una seconda volta.
“Il contatto fisico, la nostra prima forma di comunicazione, sicurezza, protezione, conforto. Tutto nella dolce carezza di un dito, o di due labbra che toccano una guancia morbida. Ci unisce quando siamo felici, ci sostiene nei momenti di paura, ci emoziona nei momenti di passione e di amore. Abbiamo bisogno di quel tocco della persona che amiamo quasi quanto abbiamo bisogno di respirare. Ma non ho mai capito l’importanza di quel tocco, del suo tocco, fino a quando non ho potuto più averlo. Quindi se state guardando questo video, e vi è possibile, toccate lui toccate lei, la vita è troppo breve per sprecarne anche solo un secondo.”
Se non avete ancora visto questo film, fatelo (due volte però, non una sola). Se l’avete già fatto, riguardatelo con occhi diversi, sicuramente ciò che vuole significare questa pellicola vi rimarrà più impresso.
Nel dubbio, si beve vino e si guardano serie tv (e film).
Iaiatv
Se siete interessati a leggere anche un’altra recensione riguardo questo film, andate a leggerla nell’articolo postato qua sotto!
Film spilla soldi. Menomale che li danno in streaming e li guardo come sottofondo