Benevolenza cosmica di Fabio Bacà
«Il mondo è uno strano posto, e formalizzarne con una cerimonia la presa d’atto è il primo dei rituali d’ingresso a cui sottoporrei ogni nuovo arrivato. Non c’è aspersione di acque battesimali che possa eguagliare l’impatto salvifico di questa certezza: la vita è una faccenda incomprensibile e nessuna religione, superstizione o legge fisica è in grado di spiegarne il significato.»
Se riuscissimo ad ottenere tutto, se ogni cosa che facessimo andasse in modo statisticamente improbabile sempre a nostro favore, senza mai risvolti negativi, saremmo felici? Queste le domande da cui parte Fabio Bacà per scrivere il suo primo romanzo, Benevolenza cosmica, esordio firmato Adelphi. È l’autore stesso che in un’intervista ha affermato che a seguito di un periodo non particolarmente benevolo ha avuto l’idea che struttura il romanzo. Si è detto: “Ok, Fabio, tutto va male e quindi sei infelice. Ma sei sicuro che se tutto – ma proprio tutto – andasse bene saresti felice?”.
Così, ha proiettato le sue domande su Kurt O’Reilly, giovane londinese a cui, da tre mesi circa a questa parte, tutto sembra girare bene. Troppo bene.
La sua non è fortuna in senso lato, non si tratta di esorbitanti vincite alla lotteria ad esempio, piuttosto di una serie di eventi che, pur potendo potenzialmente concludersi male, finiscono per volgere a suo favore. Sempre.
Meraviglioso, ci verrebbe da pensare, chi non vorrebbe che, in un momento in cui pensiamo di avere la sorte avversa, le carte in tavola cambiassero e d’improvviso anche quello che ci sembrava essere un incidente finisce per concludersi a nostro favore?
A quanto pare, però, Kurt non vive il suo stato di grazia in modo molto positivo, perché sebbene questo finisca per dargli molto e in modo del tutto inaspettato, mette anche in completa crisi il suo sistema di valori.
Kurt è un uomo logico, razionale, è devoto alle leggi della statistica: e la statistica, in questo caso, non sa suggerirgli nessuna spiegazione. I dati matematici svaniscono di fronte alla bizzarria degli eventi che vive.
Da pessimista cronico e scettico quale è, questa aurea di benevolenza lo costringe a rivalutare tutto il sistema di valori su cui ha basato la sua vita.
Vive questo periodo di benessere come una condanna, una persecuzione, una sventura a cui vuole mettere un punto.
Così, ci troviamo a seguire le sue improbabili e assurde avventure che lo condurranno alla soluzione del suo dilemma, un dilemma che ha a che fare con equilibri karmici da ripristinare per ristabilire una più tranquilla e statisticamente controllabile esistenza. Una soluzione, quindi, che è fuori dalla legge della statistica, della probabilità, della logica.
Kurt vive il suo stato di benevolenza cosmica in modo paradossalmente drammatico, e il paradosso si fa quasi grottesco nel finale, quando scopre che la sua felicità, la sua benevolenza, rischia in realtà di renderlo infelice, ha un doppio volto che rischia di ritorcerglisi contro: la sua fortuna è legata alla sfortuna di qualcun altro, che però tocca anche lui intimamente.
Il punto è: se tutto nella vita ci va bene, che gusto c’è nel viverla? Se sappiamo che ogni azione, ogni cosa che ci capiterà finirà bene, ha senso provarci? Ha senso fare delle scelte? E che senso ha il coraggio di lasciarsi andare, se la nostra vita altro non è che il prodotto di scelte, attimi di coraggio e ripensamento che ci conducono in vie insperate, in sentieri che mai avremmo pensato di intraprendere eppure siamo costretti a percorrere, per scoprire poi che percorrerle è stata alla fine dei conti un’incredibile avventura.
Se sappiamo che ogni cosa finirà bene, le nostre azioni finiscono per essere spogliate di senso.
Kurt ha paura di non poter provare più emozioni come la paura, il rimpianto, l’angoscia, emozioni terribili, oscure, ma che ci mettono in contatto con una parte intima di noi stessi, che ci rendono umani. Kurt non vuole essere qualcosa di diverso da un uomo. Non vuole la certezza che tutto vada bene, dice, gli basta la speranza.
Il motore delle nostre azioni quotidiane è l’ignoto, il non sapere a cosa andiamo incontro tutte le volte che prendiamo una scelta, la speranza che vada bene, ed è questo ignoto a permetterci di fare esperienza delle più disparate emozioni umane.
Il libro è, come dicevo, un esordio Adelphi, fatto assai strano per le scelte autoriali della casa editrice, cosa che ha posto molta attenzione su questo romanzo.
La vicenda è davvero ben scritta: Bacà ha una proprietà lessicale ottima, scrive passaggi anche complessi senza che la narrazione ne venga appesantita, i suoi personaggi, Kurt su tutti, sono ben delineati e decisamente particolari. La narrazione è avvincente, ironica e divertente, citazionista (il nome di Kurt è un omaggio piuttosto palese allo scrittore Vonnegut, a cui infatti le atmosfere del romanzo ammiccano molto), decisamente discostata dalla narrativa italiana contemporanea, sui generis.
Bacà gioca con l’assurdo, con il paradossale e lo fa in maniera intelligente e convincente.
È sul finale però che il libro mi ha lasciato un po’ di amaro in bocca, ciononostante è un autore di cui leggerò volentieri altro.
Un libro strano, che sicuramente ci induce a riflettere sul fatto che, alla fine la fortuna non ci rende necessariamente felici e la sfortuna non ci rende per forza infelici. Non sempre, almeno.
Voto: 4/5
E voi cosa ne pensate di questo esordio letterario firmato Adelphi?
Al prossimo articolo,
Michela
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