Sono uno Shinobi, un ninja in pratica. Non ho un braccio e al suo posto mi è stata installata una protesi armata di tutto punto e potenziabile. Il mio compito? Semplice, proteggere il mio Signore durante una pericolosa guerra civile nel periodo Sengoku. Ah, dimenticavo. Posso resuscitare grazie al potere donatomi dal mio signore: il sangue del drago.
Questa è, di base, una descrizione di ciò che accade nel nuovo videogioco di From Software, casa di sviluppo dei celeberrimi Souls (partendo da “Demon Souls”, passando per i tre “Dark Souls” e arrivando all esclusiva Ps4 “Bloodborne”). Insieme ad Activision il team capitanato da Hidetaka Miyazaki ha preso a piene mani dalla cultura giapponese e ha creato quello che sicuramente sarà uno dei contendenti al titolo di Game of the Year di quest’anno.
Ma cosa c’è di filosofico in questo gioco? Sicuramente una visione molto orientale del combattimento che, se preso nel verso giusto, diventa davvero avvincente. Al contrario, affrontando lo stesso combattimento alla maniera alla quale siamo abituati dai moderni videogame ossia con foga, quasi non ragionando per ottenere subito la soddisfazione della vittoria sull’avversario avremo soltanto frustrazione. Respirare, concentrarsi e affrontare ogni combattimento come qualcosa di veramente importante nella narrazione. Infatti la nostra morte e continua resurrezione saranno causa di una malattia per gli abitanti della zona. Avremo la responsabilità e saremo più incentivati a concentrarci e ragionare sulle mosse.
“L’arte della Guerra” di Sun Tzu sembra essere una chiave di lettura di quest’opera ma molta della cultura orientale è riversata in questo videogame. La responsabilità, la fedeltà, il fatto che il male dipenda anche da noi e non solo dagli antagonisti, la purezza l’impurità e molto altro.
Un gioco gradevole artisticamente, tecnicamente solido e con, soprattutto, un gameplay pressoché perfetto.
Ora torno a giocare, le terre del Giappone hanno bisogno del loro Shinobi.
Lorenzo